domenica 12 dicembre 2010

Il “Testamento politico” di Lenin

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Consiglierei vivamente di intraprendere a questo congresso una serie di mutamenti nella nostra struttura politica.
Vorrei sottoporvi le considerazioni che ritengo più importanti.
In primo luogo propongo di elevare il numero dei membri del CC portandolo ad alcune decine o an­che a un centinaio. Penso che, se non intraprendessimo una tale riforma, grandi pericoli minacce­rebbero il nostro CC nel caso in cui il corso degli avvenimenti non ci fosse del tutto favorevole (cosa di cui non possiamo non tener conto).
Penso poi di sottoporre all’attenzione del congresso la proposta di dare, a certe condizioni, un ca­rattere legislativo alle decisioni dei Gosplan, andando così incontro, fino a un certo punto e a certe condizioni, al compagno Trotskji.
Per quel che riguarda il primo punto, cioè l’aumento del numero dei membri del CC, penso che ciò sia necessario e per elevare l’autorità del CC, e per lavorare seriamente al miglioramento del nostro apparato, e per evitare che conflitti di piccoli gruppi del CC possano avere una importanza troppo sproporzionata per le sorti di tutto il partito.
Io penso che il nostro partito abbia il diritto di esigere dalla classe operaia 50-100 membri del CC e che possa ottenerli senza un eccessivo sforzo da parte di essa.
Una tale riforma aumenterebbe notevolmente la solidità del nostro partito e faciliterebbe la lotta che esso deve condurre in mezzo a Stati nemici e che, a mio parere, potrà e dovrà acuirsi fortemente nei prossimi anni. Io penso che la stabilità del nostro partito guadagnerebbe enormemente da un tale provvedimento.
Per stabilità del Comitato centrale, di cui ho parlato sopra, intendo provvedimenti contro la scis­sione, nella misura in cui tali provvedimenti possano in generale essere presi. Perché, certo, la guar­dia bianca della Russkaia Mysl’ (mi pare fosse S. F. Oldenburg) aveva ragione quando, in primo luogo, faceva assegnamento, per quanto riguarda il loro gioco contro la Russia sovietica, sulla scis­sione del nostro partito, e quando, in secondo luogo, faceva assegnamento, per l’avverarsi di questa scissione, sui gravissimi dissensi nel partito.
Il nostro partito si fonda su due classi, e sarebbe perciò possibile la sua instabilità, e inevitabile il suo crollo, se tra queste due classi non potesse sussistere un’intesa. In questo caso sarebbe inutile prendere questi o quel provvedimenti e in generale discutere sulla stabilità del nostro CC. Non ci sono provvedimenti, in questo caso, capaci di evitare la scissione. Ma spero che questo sia un avve­nimento di un futuro troppo lontano e troppo inverosimile perché se ne debba parlare.
Intendo stabilità come garanzia contro la scissione nel prossimo avvenire, e ho l’inten­zione di esporre qui una serie di considerazioni di natura puramente personale.
Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la questione della stabilità siano certi mem­bri del CC come Stalin e Trotskij.










I rapporti tra loro, secondo me, rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione, che potrebbe essere evitata e ad evitare la quale, a mio parere, dovrebbe servire, tra l’altro, l’aumento del numero dei membri del CC a 50 o a 100 persone.
Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D’altro canto, il compagno Trotskji come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commissa­riato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri del­l’attuale CC, ma ha anche una eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi.
Queste due qualità dei due capi più eminenti dell’attuale CC possono eventualmente portare alla scissione, e se il nostro partito non prenderà misure per impedirlo, la scissione può avvenire im­provvisamente.
Non continuerò a caratterizzare gli altri membri del CC secondo le loro qualità personali. Ricordo soltanto che l’episodio di cui sono stati protagonisti nell’ottobre Zinoviev e Kamenev
non fu certa­mente casuale, ma che d’altra parte non glielo si può ascrivere personalmente a colpa, così come il non bolscevismo a Trotskji.
Dei giovani membri del CC, voglio dire qualche parola su Bukharin e Piatakov. Sono queste, se­condo me, le forze più eminenti (tra quelle più giovani), e riguardo a loro bisogna tener presente quanto segue: Bukharin non è soltanto un validissimo e importantissimo teorico del partito, ma è considerato anche, giustamente, il prediletto di tutto il partito, ma le sue concezioni teoriche solo con grandissima perplessità possono essere considerate pienamente marxiste, poiché in lui vi è qualcosa di scolastico (egli non ha mai appreso e, penso, mai compreso pienamente la dialettica).
Ed ora Piatakov: è un uomo indubbiamente di grandissima volontà e di grandissime capacità, ma troppo attratto dal metodo amministrativo e dall’aspetto amministrativo dei problemi perché si possa contare su di lui per una seria questione politica.
Naturalmente, sia questa che quella osservazione sono fatte solo per il momento, nel presupposto che ambedue questi eminenti e devoti militanti trovino l’occasione di completare le proprie cono­scenze e di eliminare la propria unilateralità.

Aggiunta alla lettera del 24 dicembre 1922Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell’ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qua­lità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell’impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotskji, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un’importanza deci­siva.

Lenin, Lettera al Congresso, dicembre 1922 (resa nota ai delegati del XIII Congresso nel maggio 1924, ma pubblicata solo in occasione del XX Congresso del PCUS, del 1956).



martedì 19 ottobre 2010

La testimonianza di uno storico dell’epoca

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Quella contrada [la Lombardia] è tutta divisa in città, le quali hanno costretto quei del territorio loro a vivere in esse, e a stento si troverebbe uomo nobile o grande che abbia tanto potere da sottrarsi all’obbedienza verso le leggi della città sua. […] E affinché non manchi loro il mezzo per tenere a freno i vicini, essi [i Lombardi abitanti nelle città] non disdegnano di elevare al grado della cavalleria e ad ogni grado di autorità giovani di bassa estrazione e perfino operai di spregevoli arti meccaniche, che gli altri popoli allontanano come pestiferi dalle più nobili e liberali professioni. Onde avviene che essi avanzino ogni altro al mondo per ricchezza e potenza.
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Ottone (vescovo) di Frisinga, Gesta Friderici Imperatoris

lunedì 18 ottobre 2010

La voce di un oppositore dell’assolutismo

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Il vostro popolo, che voi dovreste amare come un figlio e che vi è stato finora così devoto, muore di fame. La coltivazione dei campi è quasi abbandonata; le città e la campagna si spopolano; tutti i mestieri languono, e non bastano più a nutrire gli operai. Tutto il commercio è annientato. In verità voi avete distrutto la metà delle reali forze interne del vostro Stato per conseguire e per difendere delle vane conquiste esterne. Invece di esigere del denaro da questo povero popolo, bisognerebbe fargli l’elemosina e nutrirlo… A tanto è ridotto questo gran regno così fiorente, sotto un re che tutti i giorni ci è dipinto come la delizia del popolo e che lo sarebbe veramente se i consigli degli adulatori non l’avessero avvelenato.
Per dire l’intera verità, il popolo stesso, che tanto vi amava e tanto confidava in voi, comincia a perdere l’affetto, la fiducia e persino il rispetto. Le vostre vittorie e le vostre conquiste non lo rallegrano più, esso è pieno di amarezza e di disperazione. La sedizione si accende a poco a poco da ogni parte. Essi ritengono che voi non abbiate alcuna pietà dei loro mali, che voi abbiate a cuore solo la vostra autorità e la vostra gloria… Che risposta daremo a tutto questo, Maestà?...
-François Fénelon, Lettera a Luigi XIV (il Re Sole)

L’incoronazione di Ruggero II d’Altavilla

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Ruggero II, in abito da cerimonia, viene incoronato re da Cristo. Risulta chiaro dalla scritta in greco (in alto), dalla forma della corona e dall’abbigliamento del re il carattere decisamente orientale del regno dell’Italia meridionale e della Sicilia. Si noti inoltre che l’artista ha raffigurato l’atto dell’incoronazione, compiuta direttamente da Dio, senza la mediazione della Chiesa; e ciò in pieno rispetto del principio fondamentale cui si ispirò il sovrano («ogni potestà deriva da Dio e pertanto noi siamo sul trono per sua esclusiva volontà e misericordia») e che portò a realizzare una monarchia per molti aspetti precorritrice dello Stato moderno.
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(Particolare di un mosaico del XII secolo, Palermo, Chiesa della Martorana)